lunedì 3 agosto 2015
Leggere Scerbanenco è un buon
modo per interrogarsi sulla letteratura di genere, essendo egli noto
prevalentemente per i suoi gialli, i suoi noir. In Italia la letteratura di
genere è considerata di bassa qualità,
una letteratura di consumo, anche se
ultimamente proprio quella gialla, più specificatamente quella noir, ha conosciuto una critica migliore.
Secondo me, uno scrittore può
esaltarsi anche all’interno di un genere, fornire, oltre che dell’ottima (e
necessaria) “evasione”, un paradigma, uno stilema, una visione del mondo.
Scerbanenco riesce in tutto questo.
La sua è una buona scrittura,
solida senza essere eccessivamente raffinata e altezzosa, autentica senza
essere però sciatta, lucida e spietata come il mondo che racconta, senza mai
cadere nell’affettazione stereotipata delle letterature d’imitazione.
Traditori di tutti, edito come allegato del Corriere della sera, è
la seconda avventura che vede protagonista il personaggio più noto di
Scerbanenco, Duca Lamberti, l’ex medico radiato dall’ordine per eutanasia, e le
sue indagini poliziesche dentro una Milano descritta minuziosamente nelle sue
vie, anche periferiche; una Milano lunare e spaventosa, dove, nei suoi profondi meandri tenebrosi, si agitano individui spietati, turpi, dediti alla
violenza cieca e al crimine.
La normalità borghese è il doppio
spiritato e stranito di questa Milano cinica e bastarda, dove tutto pare
attraversato da un sotterraneo fremito d’orrore. È una Milano allucinata,
fredda, oscura, malata, dove i delinquenti finiscono per tradire tutti, dalla
collettività onesta ai propri compagni, calpestando con brutalità ogni legge
per imporre il proprio dominio criminale. È un’immagine di Milano degli anni
Sessanta che risulta essere una delle più significative espresse in quegli anni
(insieme perlomeno a quelle fornite da Testori e da Bianciardi). Non una Milano
da cronaca nera soltanto, ma la dimostrazione che il male permea la radice
della nostra società. Non c’è una critica sociale in Scerbanenco, un’indole da
riformatore, c’è l’amara consapevolezza delle atrocità intorno a noi, che
convivono con una mentalità dominante di perbenisti un po’ ottusi.
C’è un alto senso della
giustizia, forse ingenuo e un po’ stereotipato, in questi personaggi. Duca
Lamberti in particolare, con il suo tragico e tormentato passato (condannato al
carcere per eutanasia su una sua paziente terminale), si gioca il residuo senso
di dignità nel tentativo di aiutare la polizia milanese a scovare i criminali. Si
sporca così di tutta la melma, inala tutti i fetori della mala milanese. Duca
Lamberti è il personaggio su cui i lettori proiettano se stessi e s’identificano,
eroe buono contro il male, non disdegna l’uso della violenza per far confessare
i criminali. Questa dicotomia buoni - cattivi, bene- male, è un po’ un cliché
consumato e quasi infantile, va a
scapito del realismo anche feroce con cui la vicenda è narrata. Qui il genere
mostra i suoi limiti.
Come già visto in Venere privata, pare che Scerbanenco non
riesca totalmente a tenere le fila di questa trama, qualcosa gli sfugge e
tratti semplicistici balenano nel disegno e appesantiscono un po’ il romanzo
che talvolta risulta confuso nella
ricostruzione degli eventi. Però la scrittura regge, funzionale al racconto, Traditori di tutti conferma tutto
sommato la buona vena di Scerbanenco.
Essendo egli molto preciso e
chirurgico nell’evocazione dei luoghi, la sua geografia della Milano anni
sessanta è un perfetto documento storico e Traditori
di tutti è a suo modo un piccolo classico, forse scomodo, forse minore,
della nostra letteratura.
0 commenti:
Posta un commento