lunedì 8 gennaio 2018
Nicanor Parra, poeta cileno ultracentenario,
essendo nato nel 1914, ha un’idea della poesia in contrasto con la tradizione e
il sentire comune. Niente fiori, amore, cuore e quella fastidiosa melassa
sentimentale che viene scambiata troppo spesso per poesia, ma una scrittura
graffiante, ironica, sarcastica, beffarda che punta dritta al centro delle
cose.
Parra è il celebre poeta delle antipoesie - “Poemas
y antipoemas” è il titolo di una sua raccolta del 1963 - parzialmente
antologizzata in questa interessante edizione Medusa del 2016, curata e
tradotta da Stefano Berardinelli; la precedente pubblicazione italiana di Parra
era un Einaudi del 1974. Lacuna
clamorosa, considerando l’importanza del poeta cileno per lo sviluppo e il
rinnovamento della poesia ispano americana del Novecento.
L’approccio irriverente produce
disorientamento in lettori poco avvezzi alle trasformazioni della poesia e che
hanno di essa una visione scolastica.
Poesia ”sovversiva ma non militante”, il che non è poco considerando che
Parra ha attraversato da protagonista anni in cui l’ideologia era predominante
e l’adesione a essa spesso conditio sine
qua non per essere ascoltati. Nessuna fede politica ostentata dunque, come accade
invece per il compaesano Neruda, fervente comunista, per esempio, se “credere è credere in Dio” Parra pone l’ateismo al centro della
propria poetica. Come dimostra la poesia Dichiarazione
d’indipendenza, dove la ribellione all’istituzione religiosa è proclamata
come atto d’irriverente libertà. Al fondo è la metafisica a essere attaccata e
la grammatica stessa che per Nietzsche era sua ancella, se “il verbo essere è un’allucinazione del
filosofo” e “Nella realtà non ci sono
aggettivi”, come recita il titolo della poesia di cui questo verso è
citazione.
È una poesia quella di Parra che
mira alla concretezza e sembra sbarazzarsi delle retoriche della tradizione,
perseguendo una via nuova. Come si legge nella poesia Manifesto in cui viene espressa la sua poetica in termini chiari.
La poesia non è più un “oggetto di lusso”
ma un “articolo di prima necessità” e
i poeti, scesi dall’Olimpo, sono come muratori che alzano un muro, costruttori
di porte e finestre. Necessario è riportare nei versi l’atmosfera delle comuni
conversazioni, non evocando astrusi” segni
cabalistici, bisogna optare
piuttosto per una lingua colloquiale, piana, diretta. Ciò non ha impedito a
Parra di essere considerato da critici eminenti, come l’americano Harold Bloom,
fra i maggiori poeti viventi.
Fra le poesie più importanti qui
antologizzate Soliloquio dell’individuo,
dove la Storia umana dai primi graffiti delle caverne alla scoperta del fuoco, fino alle invenzioni della modernità, viene ripercorsa con un tono ironicamente
epico, fino all’amara conclusione: ”Ma
no: la vita non ha senso”.
Bella la poesia dedicata alla
madre che ci restituisce alcuni brani della sua infanzia o la poesia Ultimo brindisi, dove passato, presente
e futuro, si volatilizzano innanzi a
un’ispirazione filosofica che ne riconosce la sostanziale illusorietà: “Tirando le somme/ Ci rimane soltanto il
domani. / Io alzo il mio bicchiere/ A questo giorno che non viene mai/ Ma ch’è
l’unica cosa/ Della quale realmente disponiamo”.
La sensazione finale è che siano
necessarie altre pubblicazioni delle poesie di Parra per esaurirne o avvicinarne
il mistero, qui appena accennato.
Le montagne russe è un libro che cresce in considerazione man mano
che si procede nella lettura e nelle
riletture ma lascia fondamentalmente inappagati.
Sconcertante che si siano dovuti aspettare 42
anni dall’ultima edizione di un libro di Parra nel nostro paese. Io lo
conoscevo unicamente per aver letto alcune sue poesie nella ormai leggendaria antologia
City Lights Pocket Poets Antology, curata da Lawrence Ferlinghetti.
Altro segnale negativo per la poesia in Italia.
0 commenti:
Posta un commento