mercoledì 11 luglio 2018
Confesso un iniziale disagio nel
leggere le poesie di questa giovane poetessa indiana Rupi Kaur, naturalizzata
canadese e di questo suo libro milk and honey.
Un disagio che lentamente si è trasformato in una strana fascinazione, con tutti i distinguo
del caso, però. Si tratta di un libro che rischia in certi momenti di cadere nelle trappole
stereotipate della poesia d’amore, per
giunta giovanile ma che infine si rivela, pur nei suoi limiti che evidenzierò, una lettura stranamente corroborante, forse
perché ricca di speranza, della speranza propria della giovinezza. Tradotto da
Alessandro Storti milk and honey è
edito da tre60 nel marzo del 2017. Lo
leggo nella decima edizione, ragguardevole traguardo, del febbraio 2018.
Milk and honey è un successo mondiale ed è utile leggerlo per
capire cosa cerchi oggi un pubblico interessato alla poesia. Semplicità
sicuramente, versi brevi e con qualche effetto di manierismo, in questo caso
giovanile, qualcosa di riconoscibile e salutare, un’immersione nel dolore certo
purché vi sia luce alla fine del tunnel.
Così milk and honey è un libro in grado di rispondere alle richieste di
un pubblico che si allontana dalla poesia perché la sente astratta, contorta,
complessa, sfuggente. In questo senso il successo mondiale del libro è una
buona notizia per la poesia. Nonostante i roboanti giudizi di certa critica
siano eccessivi e paiono avere soprattutto meri intenti pubblicitari, per me si
è trattato di una lettura tutto sommato piacevole, non vi ho trovato gli abissi linguistici che
mi affascinano nella grande poesia ma un libro ben congegnato, a guisa di concept
album su alcuni temi eterni come l’amore, la perdita, gli affetti e i conflitti famigliari, la solitudine,
l’assenza. Le sezioni in cui il libro è suddiviso sono quattro: il ferire,
l’amare, lo spezzare, il guarire.
Non mancano sentenze gnomiche a
volte pungenti a volte deboli o versi diretti su realtà brutali come lo stupro
o tentativi di ricondurre tabu come le mestruazioni alla loro dimensione
naturale o una ricognizione psicoterapica sugli abusi sessuali subiti da una
bambina. Certe poesie rendono milk and
honey un manifesto del femminismo da ventunesimo secolo e se questo è forse
alla base del suo successo su social come
Instagram, a mio parere limita un po’ la
portata universale della poetica dell’autrice. I versi sono accompagnati da disegni della
stessa Kaur che confermano di un talento semplice ma evocativo, naif, delicato e un po’ acerbo, com’ è giusto che sia.
Ma questa purezza, questa
innocenza, questa levità di tono, sono ciò che conferisce al libro la sua
necessità. Certo a volte specie nelle poesie della sezione dedicata all’amore
il tono è semplicistico e la brevità dei versi non consente approfondimenti ed
emerge troppo prepotente l’autobiografia da confessional
poetry e il tono confidenziale che pure dà calore al libro ne rivela alcuni
aspetti stucchevoli. Alcuni versi non hanno la profondità della poesia e paiono
pensieri buttati lì a caso: non voglio amicizia/ di te voglio tutto/ -
di più.
Tuttavia è certamente un libro strutturato con
intelligenza, accattivante, forse a tratti persino un po’ furbo, specie
nell’individuazione del suo target, perciò
un lettore smaliziato non abbocca sempre a versi che fingono profondità e sono
invece un po’ frivoli e leggeri e in qualche
caso un po’ banali (“sto imparando ad amarlo/amandomi”.) Bisogna
considerare la giovane età della poetessa, poco più che ventenne, quando
pubblicò nel 2014 la prima edizione autoprodotta del testo, e non
essere troppo duri ma accettare che in mezzo a versi intensi si possa trovare anche la bigiotteria del corredo poetico
contemporaneo.
La sensazione finale comunque è abbastanza
positiva. Soprattutto nelle parti in cui Kaur denuncia la condizione della
donna è efficace. Si tratta indubbiamente di un libro in grado
di spalancare orizzonti, di operare guarigione, di raccontare l’amore giovanile
nelle sue sfaccettature, di affermare con grazia sommessa la potenza del
femminile e di cantare l’emancipazione concreta dai modelli patriarcali. È l’
esordio di una poetessa che, se riuscirà
ad ampliare lo spettro della propria esperienza e a rendere più robusti e meno
esili i suoi versi, farà ancora parlare di sé. La attendo a prove
più mature e convincenti.
Questo è il semplice
libro di un’anima che vuole condividere
con altre anime il proprio percorso nel mondo, la propria sofferenza, la
propria gioia. Qualcosa di puro semplicemente sgorga da un cuore giovane,
limpido, ferito, che riesce ad autoguarirsi con i versi e ci aiuta a
percorrere le vie del sentimento, non
sempre, però, sfuggendo al ricalco di
versi già sentiti. Ma lasciamo alla
poetessa il compito di descrivere il proprio libro:
“questo è il viaggio
della sopravvivenza
tramite la poesia
questo il sangue,
sudore, lacrime
di ventun anni
questo è il mio cuore
nelle tue mani
questo è
il ferire
l’amare
lo spezzare
il guarire.”
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